Giuseppe Sergi

Signori e non feudatari

Questo brano è un estratto dal volume Curtis e signoria rurale (1993) curato dallo storico Giuseppe Sergi. Il testo è dedicato ai protagonisti della cosiddetta dissoluzione carolingia, ovvero tutti coloro che, a seguito della crisi del potere imperiale della dinastia carolingia, approfittano del vuoto di potere per creare dominazioni autonome.


I protagonisti della dissoluzione postcarolingia sono dunque molteplici: vescovi, abati, discendenti di custodi di castelli, discendenti di conti e di marchesi e, in gran numero, ricchi possessori laici. Traendo o no lo spunto legittimante da un'immunità formalmente concessa dal re, tutti imperniano i loro poteri su qualche fortezza, che protegga le popolazioni là dove la debolezza del regno non dà più garanzie. Tutti hanno una base fondiaria cospicua, che li candida, zona per zona, ad essere i personaggi di maggior rilievo. Tutti sono dòmini, cioè «signori».

Quelle forze eterogenee si caratterizzano per dominazioni di qualità omogenea, che caratterizzano il modo di funzionare di gran parte dell'Europa (quella di tradizionale presenza dei Franchi) in tutti i secoli centrali del medioevo: il cosiddetto «regime signorile». I manuali delle scuole italiane usano raramente e con imbarazzo il termine «signoria rurale», perché la storia italiana contiene quelle «signorie cittadine» del tardomedioevo che hanno acquistato tanto peso nella nostra cultura da aver fatto coniare il concetto di «età delle signorie» (successivo e contrapposto rispetto a quello di «età comunale»). Forse si teme che nascano equivoci. Eppure dobbiamo definire «signori», e non «feudatari», i protagonisti della geografia politica post-carolingia, e ciò per varie ragioni: 1) le fonti medievali li definiscono dòmini, che è l'equivalente latino di «signori»; 2) con il concetto di «feudatari» si suggerisce che tutti i poteri locali siano stati delegati dall'alto, da un potere centrale imprevidente, e ciò, come si è visto, non è vero e non fa giustizia alla spontanea intraprendenza delle forze locali; 3) la parte più importante della base fondiaria dei dòmini era «allodiale» (cioè in piena proprietà) non feudale, e ci possono anzi essere signorie del tutto prive di terre possedute a titolo feudale.

L'elemento feudale incide sul processo di formazione della signoria solo per due caratteri accessori, uno militare e uno fondiario. Primo: la maggiore diffusione delle clientele vassallatiche armate, dipendenti non solo dal re ma anche da ricchi signori fondiari laici ed ecclesiastici, diede a costoro uno strumento in più, oltre ai castelli, per essere attendibili come protettori e come supplenti di fatto dell'autorità pubblica. Secondo: l'ereditarietà delle terre beneficiarie (i feudi) poteva rendere ancora più abbondante la base fondiaria su cui gli aspiranti signori potevano costruire con sicurezza il loro potenziamento politico: a quei feudi non erano connesse forme speciali di giurisdizione e l'egemonia signorile era uguale in tutte le zone del dominatus che in concreto si era andato formando.

Signorile e non feudale la dissoluzione dell'impero carolingio, signorile il regime di funzionamento delle campagne nei secoli centrali del medioevo, gli istituti feudo-vassallatici hanno piuttosto un'altra funzione: garantire raccordi fra potenti di pari o di diverso livello in una realtà tanto disgregata. Una volta costruita dal basso la propria signoria rurale con ingredienti prevalentemente militari e fondiari, e potendo contare su terre in piena proprietà, al signore non dispiaceva divenire vassallo di un principe territoriale più potente di lui, per vedere tutelato il suo stesso potenziamento. Questi raccordi vassallatici aumentano a partire dal XII secolo (proprio quando secondo molti vecchi manuali entrerebbe in crisi l'età feudale!) anche perché ormai al giuramento di fedeltà non corrispondono più obblighi militari onerosi, mentre va aumentando il valore simbolico-legittimante del raccordo feudale. E, di lì a poco, questi legami saranno visti con simpatia dai cultori della rinata scienza giuridica, che conferiranno a essi dignità di «sistema»: i più diversi potenziamenti signorili, delle più diverse origini, risulteranno giustificati a posteriori come poteri discendenti dai principi e dai re.

Ma qui siamo già arrivati al feudalesimo politico tardomedievale e alla struttura delle monarchie feudali che preannunciano lo stato moderno. Siamo dunque fuori del periodo oggetto del nostro approfondimento. Non solo: siamo anche arrivati a una fase in cui la curtis, così come l'abbiamo conosciuta finora, non esiste più. Lo vedremo nei saggi successivi, ma fin d'ora si può anticipare il dato essenziale: del termine curtis tende a prevalere l'accezione più ristretta (quella di caput curtis, centro curtense) e la definizione ha, dal XII secolo in poi, un valore territoriale, raramente aziendale. Che cosa vuol dire? Vuol dire che curtis è ormai un luogo, un semplice luogo, non necessariamente (anzi, pressoché mai) caratterizzato dalla doppia gestione diretta e indiretta. Il vecchio centro della vecchia azienda agraria rimane nella memoria collettiva degli abitanti della regione con la sua definizione curtense, ma delle forme di gestione davvero curtensi (sostituite da affittanze e mezzadrie) si sono perse le tracce concrete. «Corte» vuole ormai dire genericamente «centro agrario» o «centro signorile»: e come tale è sopravvissuto nella toponomastica (si pensi ai vari Corteregia o Cortereggia, Cortemaggiore, Cortenuova), mentre sappiamo che la curtis altomedievale ben difficilmente poteva essere collocata in un singolo luogo ed essere rappresentata da un singolo toponimo.


Curtis e signoria rurale: interferenze tra due strutture medievali, a cura di G. Sergi, Scriptorium, Torino 1993, pp. 22-24





L'autore

Giuseppe Sergi (nato nel 1946), storico italiano.