Roberto Greci

La fluvializzazione dei trasporti

Il brano che state per leggere è un estratto del volume Economie urbane ed etica economica nell'Italia medievale a cura di Roberto Greci, Giuliano Pinto e Giacomo Todeschini. Il brano si concentra sullo sviluppo delle vie commerciali nell'Italia centro-settentrionale.


Nell'Italia centro-settentrionale, invece, assistiamo a uno sviluppo eccezionale di un gran numero di centri urbani dell'interno che potevano contare sui grossi capitali provenienti dall'economia agraria e artigianale locale, dai rapporti precoci con le città portuali di proiezione internazionale e dal progressivo aumento di interesse per l'Europa continentale, in fase di espansione anche grazie allo sviluppo degli itinerari commerciali terrestri. Un caso emblematico, che corregge un poco la visione monocorde di uno sviluppo dovuto quasi esclusivamente al commercio marittimo degli italiani, è dato dal caso piacentino che abbiamo già evocato. In questa città, collocata su itinerari assiduamente frequentati (Po e via Francigena), già sappiamo di una sviluppata produzione di fustagni orientata all'esportazione su mercati lontani (1140). Si trattava di una attività che per diversi centri padani costituì una produzione di punta fino al Quattrocento (e cioè fino alla rapida ascesa della concorrenza dell'area germanica meridionale) e che necessitava della materia prima (il cotone) proveniente dalle regioni iraniane e facilmente reperibile a Genova. Nel porto ligure i Piacentini potevano rifornirsi del cotone e verso il porto ligure potevano esportare i loro prodotti finiti. Puntando su Genova si aprivano a loro sia i mercati mediterranei, sia i mercati europei. Raggiungendo via mare la Provenza, era possibile, tramite la via del Rodano, recarsi nella Champagne e in Francia, dove i Piacentini (è il caso di Folco Cacia) potevano, in qualità di rappresentanti dei mercanti lombardi e toscani, trattare direttamente con il re per difendere gli interessi dei connazionali. Al seguito dei Genovesi i Piacentini frequentarono poi anche i mercati medio orientali e asiatici, sfruttando quella pax mongolica che aveva creato, nella seconda metà del Duecento, eccezionali occasioni di rapporti d'affari con quelle lontane terre. È questo il momento più alto di una espansione che, andando da Tabriz a Maiorca e Siviglia, da Lajazzo a Londra e Bruges, si inseriva in quell'espansione dello spazio economico medievale che superò ampiamente i confini dell'Europa e dell'antico Impero romano e che trovò una descrizione analitica in quella sorta di atlante a uso mercantile che è la Pratica di mercatura di Francesco Balducci Pegolotti, un agente della compagnia fiorentina dei Bardi di inizio Trecento. Le possibilità e la solidità dei mercanti-banchieri piacentini sono d'altronde documentate anche dal loro ruolo di finanziatori della crociata di Luigi IX e delle spedizioni italiane di Carlo d'Angiò. I rapporti con la curia pontificia, per la quale provvidero alla raccolta delle decime nel regno inglese, furono anche favoriti nel XIII secolo da un papa conterraneo, quel Gregorio X che invierà i Polo in Cina per trattare l'alleanza coi mongoli.

Il ruolo delle città padane nel commercio internazionale sia attraverso Genova sia attraverso le vie terrestri verso l'Europa fu via via superato dallo sviluppo di Milano. L'egemonia economica di questa città, validamente sostenuta già nel XII secolo da iniziative di coordinamento politico di grande rilievo, si basava sulla produzione e lo smercio di fustagni, di telerie e di oggetti metallici, ma anche sulla capacità di avviare una politica stradale funzionale al suo inarrestabile sviluppo. Anche Milano, come Piacenza e con Piacenza, si rese conto di quanto fosse indispensabile la sicura utilizzazione dei valichi appenninici per un diretto rapporto con Genova; dalla città ligure, che in certi momenti Milano arriverà a controllare direttamente, l'economia milanese poté guardare anche alla penisola iberica da dove arrivavano lane e altri prodotti utili tanto all'industria tessile milanese di panni fini quanto alla produzione artigianale e manifatturiera delle città lombarde, per le quali Milano rappresentava il maggior centro di redistribuzione. La facilità di accesso alla materia prima e la disponibilità di vantaggiosi itinerari consentì ai panni milanesi di aprirsi al mercato mondiale e in particolare ai mercati dell'Europa settentrionale (Bruges e Inghilterra). Con l'alleanza tra Filippo Maria Visconti e Alfonso d'Aragona i rapporti con la penisola iberica divennero ancora più intensi, al punto di favorire lo stanziamento di alcune importanti imprese commerciali milanesi nelle città iberiche; un esempio significativo è dato dalle vicende della filiale Borromeo di Barcellona tra quarto e quinto decennio del secolo XV.


R. Greci, Nuovi orizzonti di scambio e nuove attività produttive, in R. Greci - G. Pinto - G. Todeschini, Economie urbane ed etica economica nell'Italia medievale, Laterza, Roma-Bari 2005, pp. 92-94