Luigi Provero

Un potere senza delega

Questo testo dello storico Luigi Provero è dedicato ad analizzare le peculiarità della signoria medievale del secolo XI, in particolare il fatto che nasca senza una delega dall'alto, ovvero per autorizzazione del re.


Se prendiamo in esame i manuali scolastici pubblicati di recente, vediamo come l'immagine delle campagne e della società rurale nel Medioevo sia profondamente mutata rispetto a testi editi non molti decenni fa. In tutti i manuali hanno preso spazio i temi legati alla cultura materiale, con la presentazione di acquisizioni storiografiche peraltro non recentissime (dalla rotazione triennale delle colture alla diffusione della staffa), per le quali non a caso abbondano le citazioni di passi di Marc Bloch, probabilmente il massimo medievista del XX secolo, ma le cui opere risalgono a 70-80 anni fa. Assai più faticoso appare il passaggio all'interno dei manuali delle riflessioni che in questi decenni - a partire proprio da Bloch - sono state condotte sui funzionamenti della società e del potere: passaggio faticoso e soprattutto molto diseguale, con pochi manuali che denotano un alto livello di aggiornamento e molti che ripropongono invece un po' pigramente i grandi quadri esplicativi di una manualistica molto datata, rinnovati principalmente dal punto di vista iconografico e con l'inserimento di qualche passo tratto dalle fonti. L'età postcarolingia è da questo punto di vista un ottimo esempio, che ci permette di cogliere sia le potenzialità didattiche di un periodo ad altissimo tasso di sperimentazione, sia le difficoltà culturali di cui molti manuali sono tuttora testimonianza. [...]

Un castello non bast

Una delle associazioni mentali più dirette e automatiche è quella tra il castello e il potere signorile: è un'associazione ampiamente presente nel nostro immaginario, ma che si ritrova anche in molte ricostruzioni manualistiche o divulgative sull'età postcarolingia, in cui spesso si individua nella costruzione di un castello il segno diretto e inequivocabile di un processo di signorilizzazione. Questo non è di per sé sbagliato, ma ci fa perdere un passaggio fondamentale, ovvero la comprensione dei contesti e delle azioni che fanno sì che attorno al Mille il castello diventasse centro di un potere autonomo. Il castello è pur sempre solo un edificio: se nel X-XI secolo il possesso di un castello corrispondeva al controllo di un potere signorile, questo avveniva solo grazie a uno specifico contesto politico e ad alcuni ben precisi comportamenti.

Il contesto è segnato non solo e non tanto dalle incursioni di Saraceni, Ungari e Normanni, ma soprattutto da un'accentuata concorrenza tra le diverse dinastie signorili, che un regno indebolito non riusciva a tenere sotto controllo dal punto di vista militare. La popolazione non poteva più confidare nella pace del re, nella sua capacità di controllare il territorio e contenere le violenze; se in città le funzioni di difesa vennero in linea generale assunte dai vescovi, nelle campagne, molto pragmaticamente, difendeva chi era in grado di difendere, chi aveva le risorse per costruire castelli e organizzare bande di uomini armati. Perché il castello non era di per sé sufficiente, servivano gli uomini: cavalieri che diventassero vassalli del signore e garantissero la sua forza di difesa, di coercizione, di oppressione; ma anche i vicini meno potenti, i contadini che cercavano nel castello signorile una protezione, impegnandosi in cambio sia a pagare alcune imposte, sia a garantire i turni di guardia e i lavori di manutenzione del castello (che spesso era un recinto di terra e legno, che richiedeva continui interventi di ricostruzione).

Il castello poté quindi divenire il centro di una signoria perché attorno alla fortificazione si poteva costruire una rete di rapporti personali di fedeltà, protezione e sottomissione, ovvero la trama fondamentale del controllo signorile della società circostante. Ma alla base di tutto, prima del castello e dei legami personali, c'era sempre la terra: in un'economia a debole circolazione monetaria e commerciale, la ricchezza era sempre costituita dalla terra, ed era questa la base economica su cui si fondava la capacità di azione politica dei signori. Grazie alla terra si potevano costituire le reti di redistribuzione che trasformavano il ricco in potente: terre date in beneficio ai cavalieri, che diventavano vassalli del signore e andavano così a costituire la sua forza armata; terre date da coltivare ai contadini, che dipendevano quindi dal signore da un punto di vista puramente economico e diventavano i primi, naturali candidati a una sottomissione più piena; terre donate alle chiese, per esprimere la propria devozione, garantirsi la salvezza eterna e legarsi a enti prestigiosi e potenti.

Non esiste una spiegazione semplice e unitaria per la formazione delle signorie locali, poiché il dato comune risiede proprio nell'integrazione - in forme via via diverse - di varie azioni: il possesso di terra, la costruzione di castelli, la creazione di bande armate... Gli esiti sono quanto mai vari, e su questo dobbiamo soffermarci. [...]

Dalla rete alla piramide

Fluidità, sperimentazione, equilibri locali: tutto ciò ci porta verso una visione della società carolingia e postcarolingia ben lontana da una chiara e unitaria struttura gerarchica, la cosiddetta "piramide feudale", figura superata dagli storici attorno alla metà del XX secolo, ma ancor oggi tenacemente riproposta in alcuni manuali e in non pochi siti internet. Se vogliamo usare un'immagine per rappresentare l'insieme dei rapporti vassallatici tra IX e XI secolo, pensiamo piuttosto a una rete: una rete assai disordinata, piena di strappi e di nodi e tutt'altro che piatta e omogenea, perché i legami feudali si addensavano attorno ad alcune figure più importanti (vescovi, principi, ecc.), che riuscivano a raccogliere attorno a sé settori importanti dell'aristocrazia di una regione.

La rete è un'immagine imperfetta, ma ben più gravi sono le distorsioni indotte dall'idea di piramide, per due motivi fondamentali: prima di tutto la piramide fa pensare che tutto convergesse attorno al re, che invece disponeva sì di un gruppo importante di vassalli, ma non aveva affatto un controllo per via feudale sull'insieme dell'aristocrazia, né era in grado di imporsi efficacemente sui vassalli dei propri vassalli; inoltre la piramide porta a pensare a una chiara stratificazione sociale, con una fascia di vassalli regi sovrapposti ai valvassori, questi ai valvassini, ecc. Non è così, perché i legami feudali non definivano strati sociali, ma piuttosto relazioni personali, da uomo a uomo; non si era "vassalli" in assoluto, ma vassalli di qualcuno.

Dobbiamo quindi cancellare del tutto l'immagine della piramide feudale? No, piuttosto dobbiamo spostarla di tre secoli. La piramide non può rappresentare un fantomatico ordine carolingio, ma può servire a leggere l'uso politico dei rapporti feudali da parte dei comuni cittadini nel XII e soprattutto XIII secolo. Questo è un passaggio pressoché totalmente assente nella manualistica, ed è una carenza importante, che deforma la comprensione dei secoli bassomedievali. In linea generale, troviamo una separazione netta tra i capitoli che parlano delle signorie rurali (per il X e l'XI secolo) e quelli che parlano dei comuni (per il XII e il XIII). E i signori? A seguire questa narrazione, sembrerebbero estinguersi nei primi decenni del XII secolo. Invece i poteri signorili sono una struttura di lungo periodo, che segna la vita rurale per tutto il basso Medioevo e l'età moderna. Ciò che cambia, a partire dal XII secolo, è che il loro potere non è più totalmente autonomo, ma sottomesso in modo sempre più stringente ai poteri maggiori, ovvero prima i comuni cittadini, poi i principati regionali e gli stati di ancien régime.

E qui rientrano in gioco i legami vassallatici e compare la piramide feudale, se non come realtà effettiva, almeno come progetto. Il vassallaggio è infatti uno dei principali strumenti politici e giuridici messi in gioco dai comuni per coordinare le signorie locali: i signori, prima totalmente autonomi, vengono costretti a riconoscere la superiorità delle città e spesso lo fanno diventando vassalli del comune. Ciò a cui punta il comune (e più tardi i grandi principi, come i Visconti o gli Este) non è la cancellazione delle signorie locali, ma la loro sottomissione; in altri termini, si cerca di coordinare le autonomie locali in una struttura gerarchica, una piramide fondata soprattutto sui legami feudali.

Per questo gli studiosi tendono ora a porre l'attenzione sul "feudalesimo comunale", un'espressione che può sembrare un ossimoro a chi considera le signorie rurali e i comuni cittadini come due mondi opposti e non comunicanti; si tratta invece di due forme molto diverse di quella pluralità di poteri locali che si affermano in età postcarolingia e che lungo il basso Medioevo si coordinano usando - con grande libertà e pragmatismo - tutti gli strumenti disponibili. I rapporti feudali non sono una peculiarità dell'aristocrazia rurale, da cui i cittadini rifuggono; sono uno strumento sociale e giuridico estremamente fluido, utile per esprimere relazioni personali, spesso a carattere politico, di cui i comuni cittadini sanno fare un uso intenso e fecondo.


L. Provero, Un potere senza delega, in «Mundus», III, 5-6, 2010, pp. 107-112